Appello di san Giuseppe
al Redentore
Dalla Lettera di san Paolo Apostolo ai Colossesi (3,
14-15.17.23-24)
Fratelli, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione, ed esulti
nei vostri cuori la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati nell’unità
di un solo corpo, e siate riconoscenti. Qualunque cosa facciate, in parole o in
opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie, mediante
lui, a Dio Padre. Qualunque cosa facciate, operatela di buon animo, come per
il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete in
ricompensa l’eredità. Servite Cristo Signore.
Dal Vangelo secondo Matteo (13, 54-58)
In quel tempo, Gesù, arrivato nella sua patria, li istruiva nelle loro
sinagoghe, così che, meravigliati, si chiedevano: «Da dove gli vengono questa
sapienza e i miracoli? Non è costui il figlio del carpentiere? Sua madre non si
chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue
sorelle non sono tutte fra noi? Da dove, dunque, gli viene tutto questo?». Erano scandalizzati riguardo a lui.
Gesù però disse loro: «Non c’è profeta senza onore se non nella sua patria e
nella sua casa». Non fece là molti miracoli a motivo della loro incredulità.
Nonne hic est
fabri filius? (Mt 13, 55).
«Non è forse costui il figlio del carpentiere?». Nella festa di san
Giuseppe Artigiano risuona la domanda interdetta dei nazaretani di fronte alla
sapienza dimostrata e ai miracoli compiuti da un loro concittadino che, fino a
pochi mesi prima, era vissuto in tutto e per tutto come uno di loro conducendo
un’esistenza normalissima e non lasciando presagire nulla della propria divinità.
Proprio coloro che conoscevano Gesù più da vicino, paradossalmente, ebbero
maggiori difficoltà degli altri ad accogliere la manifestazione della Sua vera
identità: l’averlo osservato per tanti anni secondo la comune umanità diventò
un ostacolo alla loro fede piuttosto che un aiuto; in altri termini, fu motivo
di scandalo.
Eppure il Figlio di Dio ha voluto a tal punto esser considerato il
figlio del carpentiere da tollerare tale scandalo, benché ciò possa
sembrarci insensato dal punto di vista umano. La logica dell’Incarnazione, in
realtà, ha comportato proprio questa completa assunzione – eccettuato il
peccato – della condizione della creatura che doveva essere redenta. Nessun
ambito andava lasciato fuori, neppure quello del lavoro; anzi, il Verbo fatto
uomo ci ha insegnato, anzitutto col proprio esempio, ciò che san Paolo ci
raccomanda nell’Epistola: «Qualunque cosa facciate, operatela di buon animo,
come per il Signore e non per gli uomini» (Col 3, 23). Per prima cosa – come
suggerisce san Luca all’inizio degli Atti – Gesù cominciò a fare,
poi a insegnare (cf. At 1, 1).
Trasponendo il discorso all’attualità ecclesiale, ci si rende conto
che il Signore ha voluto a tal punto essere rappresentato da uomini da
sopportare tutti gli scandali causati dai Suoi cattivi rappresentanti. Se ciò è
stato vero lungo tutta la storia cristiana, oggi ha raggiunto un livello
davvero intollerabile. Pur sottomettendoci agli arcani disegni della
Provvidenza, che non smentisce le proprie disposizioni per motivi contingenti,
non siamo tuttavia insensibili a ciò che udiamo e vediamo nella Chiesa; al
contrario, gemiamo per effetto di quella sofferenza che nasce dall’amore per Cristo
e per la Sua Sposa, amore che costituisce il più potente e profondo affetto del
nostro cuore.
Nel festeggiare l’uomo cui Dio affidò l’eccelso compito di padre
adottivo del Verbo incarnato, perché non immaginare, in virtù della confidenza
che abbiamo acquisito con lui nonché con una certa audacia, i dolci e
rispettosi richiami paterni che il Patrono della Chiesa universale potrebbe
rivolgergli in cielo, dove Gli è così vicino e così unito, dopo essergli stato
così familiare in terra? Non temiamo di recare oltraggio né all’uno né
all’altro, ma vorremmo piuttosto approfittare, nei limiti del consentito, della
preziosa intimità con entrambi, grazia di cui – ne siamo ben consapevoli – non
siamo degni, ma che non possiamo nemmeno negare.
Osiamo, dunque, osiamo rappresentarci nella mente san Giuseppe
intento a scuotere l’apparente indifferenza del Redentore, che da tanti anni
sembra lasciar languire la Chiesa, certo a causa delle colpe dei suoi membri e
dei suoi ministri: «Perché non intervieni? Non ti offende vedere la tua Sposa
fino a tal punto oltraggiata? Non ti curi che tante anime riscattate dal tuo
sangue siano fuorviate da dottrine distorte, ma presentate come tue? Non ti importa
di essere disonorato in modo abominevole davanti a coloro che non ti conoscono
ancora oppure ti conoscono poco e male? Non ti sei abbastanza saziato di
insulti durante la Passione, perché adesso tu debba esser coperto di improperi
dai tuoi stessi rappresentanti? Non ti vergogni del modo scandaloso in cui ti
fanno apparire?».
Forse queste domande esprimono più il nostro stato d’animo che non
quello di Colui che, nella vita terrena, ha sempre obbedito agli ordini divini
senza la minima obiezione, adorando Dio in perfetto silenzio, con immediata
prontezza e impareggiabile umiltà. L’arditezza delle parole che Gli abbiamo
attribuito – ne siamo ben consapevoli – mal si concilia con la Sua fisionomia
spirituale; tuttavia non possiamo nemmeno pensare che san Giuseppe, una volta
investito del Patrocinio sulla Chiesa intera che è sulla terra, ne osservi
inerte la rovina procurata dai nemici infiltratisi al suo interno. In
particolare, ci pare inimmaginabile che non si appelli accoratamente al Figlio
adottivo perché la liberi dalla banda di ladri e pederasti che la tiene in
ostaggio.
Del resto come potremmo noi, con guide del genere, lasciar esultare
nei nostri cuori la pace di Cristo, nella quale siamo stati chiamati a
formare un solo corpo? Come si può fare tutto, in opere e parole, nel nome del
Signore Gesù Cristo senza esser rettamente formati nella conoscenza della
verità e nella sua applicazione alla vita concreta? Come si può servire il
Signore ponendo al di sopra di tutto la carità, se coloro che dovrebbero
fungere da nostri punti di riferimento si rendono sommamente odiosi con la loro
slealtà e perfidia? Le esortazioni che l’Apostolo ci indirizza nell’Epistola
appaiono irrealizzabili nel contesto in cui ci troviamo a vivere.
Eppure questa è la condizione in cui la Provvidenza ci ha posto, nei Suoi disegni di imperscrutabile sapienza. Il nostro tempo ci riserva sfide che nessuna epoca della storia cristiana ha dovuto affrontare, con la relativa opportunità di acquistare meriti straordinari. La situazione del tutto inedita in cui siamo stati collocati, infatti, ci costringe ancor più che nel passato più fosco a farci santi come unica soluzione possibile. In condizioni del genere, ci sono lasciati soltanto due sbocchi: o la santità o la perdizione. Che san Giuseppe ci ottenga la grazia di scegliere e raggiungere la prima; ci insegni a compiere ogni atto come se fosse Gesù stesso a compierlo; ci sostenga nella lotta insieme con la Sposa immacolata, Mediatrice di tutte le grazie, che in questo mese di Maggio vogliamo invocare con particolare intensità perché nella Chiesa si cambi finalmente rotta, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.