Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 4 maggio 2024


Appello di san Giuseppe

al Redentore

 

 

Dalla Lettera di san Paolo Apostolo ai Colossesi (3, 14-15.17.23-24)

Fratelli, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione, ed esulti nei vostri cuori la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati nell’unità di un solo corpo, e siate riconoscenti. Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie, mediante lui, a Dio Padre. Qualunque cosa facciate, operatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete in ricompensa l’eredità. Servite Cristo Signore.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (13, 54-58)

In quel tempo, Gesù, arrivato nella sua patria, li istruiva nelle loro sinagoghe, così che, meravigliati, si chiedevano: «Da dove gli vengono questa sapienza e i miracoli? Non è costui il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove, dunque, gli viene tutto  questo?». Erano scandalizzati riguardo a lui. Gesù però disse loro: «Non c’è profeta senza onore se non nella sua patria e nella sua casa». Non fece là molti miracoli a motivo della loro incredulità.

 

Nonne hic est fabri filius? (Mt 13, 55).

«Non è forse costui il figlio del carpentiere?». Nella festa di san Giuseppe Artigiano risuona la domanda interdetta dei nazaretani di fronte alla sapienza dimostrata e ai miracoli compiuti da un loro concittadino che, fino a pochi mesi prima, era vissuto in tutto e per tutto come uno di loro conducendo un’esistenza normalissima e non lasciando presagire nulla della propria divinità. Proprio coloro che conoscevano Gesù più da vicino, paradossalmente, ebbero maggiori difficoltà degli altri ad accogliere la manifestazione della Sua vera identità: l’averlo osservato per tanti anni secondo la comune umanità diventò un ostacolo alla loro fede piuttosto che un aiuto; in altri termini, fu motivo di scandalo.

Eppure il Figlio di Dio ha voluto a tal punto esser considerato il figlio del carpentiere da tollerare tale scandalo, benché ciò possa sembrarci insensato dal punto di vista umano. La logica dell’Incarnazione, in realtà, ha comportato proprio questa completa assunzione – eccettuato il peccato – della condizione della creatura che doveva essere redenta. Nessun ambito andava lasciato fuori, neppure quello del lavoro; anzi, il Verbo fatto uomo ci ha insegnato, anzitutto col proprio esempio, ciò che san Paolo ci raccomanda nell’Epistola: «Qualunque cosa facciate, operatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini» (Col 3, 23). Per prima cosa – come suggerisce san Luca all’inizio degli Atti – Gesù cominciò a fare, poi a insegnare (cf. At 1, 1).

Trasponendo il discorso all’attualità ecclesiale, ci si rende conto che il Signore ha voluto a tal punto essere rappresentato da uomini da sopportare tutti gli scandali causati dai Suoi cattivi rappresentanti. Se ciò è stato vero lungo tutta la storia cristiana, oggi ha raggiunto un livello davvero intollerabile. Pur sottomettendoci agli arcani disegni della Provvidenza, che non smentisce le proprie disposizioni per motivi contingenti, non siamo tuttavia insensibili a ciò che udiamo e vediamo nella Chiesa; al contrario, gemiamo per effetto di quella sofferenza che nasce dall’amore per Cristo e per la Sua Sposa, amore che costituisce il più potente e profondo affetto del nostro cuore.

Nel festeggiare l’uomo cui Dio affidò l’eccelso compito di padre adottivo del Verbo incarnato, perché non immaginare, in virtù della confidenza che abbiamo acquisito con lui nonché con una certa audacia, i dolci e rispettosi richiami paterni che il Patrono della Chiesa universale potrebbe rivolgergli in cielo, dove Gli è così vicino e così unito, dopo essergli stato così familiare in terra? Non temiamo di recare oltraggio né all’uno né all’altro, ma vorremmo piuttosto approfittare, nei limiti del consentito, della preziosa intimità con entrambi, grazia di cui – ne siamo ben consapevoli – non siamo degni, ma che non possiamo nemmeno negare.

Osiamo, dunque, osiamo rappresentarci nella mente san Giuseppe intento a scuotere l’apparente indifferenza del Redentore, che da tanti anni sembra lasciar languire la Chiesa, certo a causa delle colpe dei suoi membri e dei suoi ministri: «Perché non intervieni? Non ti offende vedere la tua Sposa fino a tal punto oltraggiata? Non ti curi che tante anime riscattate dal tuo sangue siano fuorviate da dottrine distorte, ma presentate come tue? Non ti importa di essere disonorato in modo abominevole davanti a coloro che non ti conoscono ancora oppure ti conoscono poco e male? Non ti sei abbastanza saziato di insulti durante la Passione, perché adesso tu debba esser coperto di improperi dai tuoi stessi rappresentanti? Non ti vergogni del modo scandaloso in cui ti fanno apparire?».

Forse queste domande esprimono più il nostro stato d’animo che non quello di Colui che, nella vita terrena, ha sempre obbedito agli ordini divini senza la minima obiezione, adorando Dio in perfetto silenzio, con immediata prontezza e impareggiabile umiltà. L’arditezza delle parole che Gli abbiamo attribuito – ne siamo ben consapevoli – mal si concilia con la Sua fisionomia spirituale; tuttavia non possiamo nemmeno pensare che san Giuseppe, una volta investito del Patrocinio sulla Chiesa intera che è sulla terra, ne osservi inerte la rovina procurata dai nemici infiltratisi al suo interno. In particolare, ci pare inimmaginabile che non si appelli accoratamente al Figlio adottivo perché la liberi dalla banda di ladri e pederasti che la tiene in ostaggio.

Del resto come potremmo noi, con guide del genere, lasciar esultare nei nostri cuori la pace di Cristo, nella quale siamo stati chiamati a formare un solo corpo? Come si può fare tutto, in opere e parole, nel nome del Signore Gesù Cristo senza esser rettamente formati nella conoscenza della verità e nella sua applicazione alla vita concreta? Come si può servire il Signore ponendo al di sopra di tutto la carità, se coloro che dovrebbero fungere da nostri punti di riferimento si rendono sommamente odiosi con la loro slealtà e perfidia? Le esortazioni che l’Apostolo ci indirizza nell’Epistola appaiono irrealizzabili nel contesto in cui ci troviamo a vivere.

Eppure questa è la condizione in cui la Provvidenza ci ha posto, nei Suoi disegni di imperscrutabile sapienza. Il nostro tempo ci riserva sfide che nessuna epoca della storia cristiana ha dovuto affrontare, con la relativa opportunità di acquistare meriti straordinari. La situazione del tutto inedita in cui siamo stati collocati, infatti, ci costringe ancor più che nel passato più fosco a farci santi come unica soluzione possibile. In condizioni del genere, ci sono lasciati soltanto due sbocchi: o la santità o la perdizione. Che san Giuseppe ci ottenga la grazia di scegliere e raggiungere la prima; ci insegni a compiere ogni atto come se fosse Gesù stesso a compierlo; ci sostenga nella lotta insieme con la Sposa immacolata, Mediatrice di tutte le grazie, che in questo mese di Maggio vogliamo invocare con particolare intensità perché nella Chiesa si cambi finalmente rotta, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.


sabato 27 aprile 2024


L’importanza del patriarcato

 

 

ne in illo coniugio virili sexui, utique potiori, fieret iniuria (sant’Agostino di Ippona, De nuptiis et concupiscentia, I, 11).

Non sarà certo consono all’attuale spirito del tempo, anzi suonerà decisamente urtante e anacronistico questo inciso del Dottore di Ippona; eppure proprio così si esprime e dobbiamo prenderne atto, se non vogliamo censurare perfino i Padri e trattenerne solo quel che ci fa comodo, scartando il resto come presunta tara culturale di un’epoca lontana. La tanto decantata riscoperta della patristica, operata dopo il Vaticano II, ci appare un po’ troppo selettiva quando leggiamo i testi nella loro integrità ed evitiamo di applicare ad essi i pregiudizi moderni, i quali, d’altronde, sono un fenomeno talmente recente da non poter competere con una tradizione millenaria. Possibile che l’umanità intera – e in essa la Chiesa – sia vissuta, fino a pochi decenni fa, in completo errore circa temi di fondamentale importanza, come quelli relativi al rapporto tra l’uomo e la donna, alla costituzione della famiglia e alla struttura della società?

Ordine benefico

Nel dimostrare come il connubio tra Maria e Giuseppe, benché vissuto nella continenza perfetta, sia stato un vero matrimonio, sant’Agostino osserva che la genealogia di Gesù riportata da san Matteo termina al marito (malgrado il fatto che non sia il padre biologico della prole) «affinché non fosse fatta ingiuria al sesso virile, senz’altro più importante». Senza neppure prendere in considerazione quella forma di demenza che è il femminismo, ultimamente riacutizzatasi con la propaganda contro un patriarcato da lungo tempo scomparso, ci limitiamo ad accennare all’odierna tendenza clericale, non meno estemporanea e pilotata dall’alto, a rivendicare ruoli di autorità per le donne in ogni ambito. A parte il fatto che il governo della Chiesa spetta, per costituzione divina, a coloro che sono insigniti dei sacri Ordini, tali pretese cozzano con un dato antropologico costantemente affermato sia dalla Sacra Scrittura che dalla Tradizione: la priorità dell’uomo rispetto alla donna.

A tale proposito occorre preliminarmente chiarire l’equivoco che nasce da una mancata distinzione: quella tra la dignità ontologica, fondata sulla comune natura umana, e la dignità morale, basata sui diversi gradi di responsabilità e di merito. Mentre i meriti dipendono dall’esercizio del libero arbitrio di ogni individuo, le responsabilità sono connesse all’ordine impresso dal Creatore alla famiglia, alla società e alla Chiesa. Di conseguenza, la pari dignità che sussiste a livello ontologico tra l’uomo e la donna non impedisce affatto che, a livello morale, i loro rapporti siano regolati in senso gerarchico in modo da assicurare la permanenza di quell’ordine che garantisce il benessere e il retto sviluppo di ogni corpo sociale, dal più piccolo al più grande. Dio ha voluto che l’uomo avesse il ruolo di guida e che la donna fungesse, in qualità di adiutorium simile sibi (Gen 2, 18), da necessario complemento di lui. Solo chi sta al suo posto, riconosciuto e amato come quello giusto, è felice e sa rendere felici gli altri, a cominciare dal marito e dai figli.

Demoniaca inversione

L’apice della rivolta satanica contro Dio, estesasi all’umanità con il peccato originale, non è la semplice contestazione dell’ordine naturale, bensì la sua completa inversione. Non potendo qui prendere in esame l’universale crisi dell’autorità, lungamente pianificata e scientemente provocata, ci limitiamo a considerare i due più gravi effetti dell’ideologia perversa che ha portato le donne a ribellarsi ad ogni potestà: a quella di Dio, a quella del padre, a quella del marito. Il primo è la dissoluzione della famiglia, la quale, ancor prima di esser minata dal divorzio, ha perso quel fondamentale elemento di coesione e serenità che era l’angelo del focolare; il secondo è il genocidio silenzioso dei non ancora nati, considerati grumi di cellule o una parte del corpo femminile, quando invece tutte le evidenze scientifiche dimostrano che l’embrione è un essere umano distinto dalla madre e dotato di vitalità propria, sebbene non ancora autonoma.

L’inversione distrugge, in questi casi, l’ordine oggettivo tra beni di per sé intangibili, quali l’unità delle famiglie e la vita dei nascituri, e il puro arbitrio individuale o un preteso equilibrio emotivo elevati a valori assoluti, ossia sganciati da qualsiasi altro riferimento. Ora, l’esercizio della libertà, senza un criterio di verità e di bene, si annulla completamente e sfocia nella schiavitù a ogni tipo di condizionamento, interno ed esterno. Il benessere psicologico, d’altra parte, è ben lungi dall’essere assicurato in uno stato di totale opposizione alle leggi dell’essere; la realtà dimostra ampiamente, anzi, fino a qual punto le donne che, in nome della loro indipendenza, hanno sfasciato la famiglia o ucciso i propri figli siano afflitte da disturbi psichici di gravità variabile, ma tutti innegabili e di ardua soluzione, non essendoci modo di riparare al male commesso. Unica via di redenzione è una sincera conversione, seguita da un impegno intenso e leale a difesa della vita e della famiglia.

Segnali di speranza

Ignorando il frastuono terroristico della sinistra sanguinaria e sodomitica, l’attuale governo ha reso possibile – cosa peraltro già prevista dalla legge – la presenza di membri delle associazioni pro vita nei consultori pubblici. Lo scomposto schiamazzare delle opposizioni dimostra che si tratta di una misura efficace nel limitare i danni della famigerata Legge 194, in attesa che si creino condizioni favorevoli alla sua totale abrogazione. Certo, l’antropologia secondo natura non consentirebbe a una donna di presiedere un governo; ciò non ha tuttavia impedito alla Provvidenza di servirsi in bene di una delle attuali storture istituzionali: meglio una madre, per quanto nubile, che un banchiere. Questo segnale positivo sta incoraggiando altre donne (parlamentari, giornaliste, magistrati) a riappropriarsi della propria vera indole e ad agire di conseguenza, esercitando quella sana libertà di parola che gli avversari considerano un monopolio: i diritti “democratici”, a quanto pare, sono a senso unico…

Pur senza lasciarci andare a un facile ottimismo, ci sembra che stia maturando il tempo di un cambio di rotta: la cappa ideologica che soffoca il minimo dissenso in ambiti fondamentali della vita sociale pare cominciare a cedere sotto il peso della semplice evidenza. Se questa impressione è reale, si può sperare anche nell’approvazione del progetto di legge di iniziativa popolare denominato Un cuore che batte: dopo l’approdo a due commissioni della Camera dei Deputati, una maggioranza rafforzata dalle elezioni europee potrebbe convertirlo e renderlo esecutivo. In tal modo, oltre alla presenza dei volontari pro vita nei consultori, l’ecografia obbligatoria indurrebbe molte donne tentate di abortire a riconsiderare quella decisione nefasta. Favorire una maggiore consapevolezza rispetto a una scelta non significa ammettere che quella scelta sia lecita né approvare una falsa idea di autodeterminazione; è invece un atto di carità nei confronti di persone a cui non si può altrimenti impedire di commettere un delitto gravissimo.

Il recupero dell’autentica natura della donna consentirà pure all’uomo di riappropriarsi della sua identità e di riprendere il proprio posto nella famiglia e nella società a tutto vantaggio della sposa e dei figli, i quali ritroveranno in lui il naturale sostegno, difensore e modello. Così l’importanza del sesso virile riapparirà in tutta la sua benefica portata, secondo l’ordine stabilito dal Creatore e da Lui inscritto nella natura umana. L’evidenza dell’essere, riconosciuta e liberamente accolta, riaprirà all’uomo e alla donna la via delle legittime gioie terrene, capaci di far pregustare quelle celesti, sia pure nelle contraddizioni di questo mondo corrotto. In fin dei conti, sant’Agostino – e con lui tutti i grandi maestri di umanità e di fede – non si sbagliava; di fronte a un gigante come lui, anzi, i nani della “cultura” odierna possono solo ringhiare come botoli privi di ragione. Riaffermiamo dunque con serenità e coraggio la semplice verità antropologica senza temere le reazioni del totalitarismo in auge; più numerosi saremo, prima rinascerà la società e, con essa, rifiorirà la Chiesa, che da quella riceve i membri e, indirettamente, anche i ministri.


sabato 20 aprile 2024


Danza macabra o danza della vita?

 

 

Mors depascet eos (Sal 48, 15).

«La morte li pascerà». In tre parole sembra condensato il destino del mondo che, rifiutando Cristo, si allontana sempre più da Lui. Il cessare della vita fisica, per chi ha la fede, non è una catastrofe irreparabile, visto che il Risorto promette la beatitudine eterna a chi vive e muore unito a Lui; chi invece l’ha perduta si stordisce coi piaceri della terra nell’illusione di esorcizzare la paura dell’ignoto oppure cerca ingannevoli risposte nelle dottrine esoteriche, qualora non si affidi ciecamente a quella scienza che lo ha spinto o addirittura costretto a rovinarsi la salute in modo irreversibile. In un folle stordimento dell’intelletto, quest’ultimo dà l’impressione di non esser più grado di cogliere la realtà così com’è, mentre familiari, parenti, colleghi e conoscenti son falcidiati da patologie mai registrate oppure da malattie note ma dagli effetti inediti. Di ben altro spessore era la consapevolezza espressa dall’iconografia della danza macabra, diffusasi sul finire del Medioevo: ogni uomo – dall’imperatore e dal papa fino all’ultimo servo della gleba – doveva varcare la soglia fatale e presentarsi a giudizio, trovandosi così in una vera uguaglianza davanti a Dio.

Venti di guerra?

Da un lato, pare che una paradossale infatuazione per la morte trovi alimento negli assurdi comportamenti dei governi occidentali nei confronti della Russia, i quali continuano a provocarla con dichiarazioni farneticanti e l’invio di militari e materiale bellico a sostegno dell’Ucraina, malgrado l’ormai certa prospettiva di sconfitta di quest’ultima. Dall’altro, però, è a tutti evidente che un conflitto diretto tra la Federazione Russa e i Paesi dell’Alleanza Atlantica avrebbe conseguenze talmente devastanti che nessuno ha interesse a provocarlo. L’apparente illogicità di tale ostinazione si può tuttavia spiegare a partire da considerazioni di ordine economico. Il massiccio coinvolgimento degli Stati Uniti nello scontro, seppur non dichiarato, ha rimesso in moto l’economia americana, che da anni soffriva di recessione; al contrario i Paesi dell’Europa occidentale, già fortemente deindustrializzati, si sono ulteriormente impoveriti sia a causa delle sanzioni alla Russia, sia per l’inimmaginabile spreco di risorse letteralmente mandate in fumo sui campi di battaglia.

Gli americani hanno così raggiunto un duplice scopo: rilanciare la propria industria e costringere l’Europa a dipendere da loro anziché dai russi. Gli ucraini son serviti (e si son lasciati usare) come carne da cannone, fino a mandare al fronte donne incinte e ragazzini di quattordici anni; chi, d’altra parte, ha eletto presidente un sodomita psicopatico manovrato da banchieri giudei, non può neppure lamentarsi. All’alta finanza non interessa nulla, in ogni caso, delle sofferenze di milioni di persone che con la sua stessa propaganda ha convinto a farsi massacrare; ora devono solo trovare il modo di porre fine al conflitto senza perdere completamente la faccia, ma il profitto voluto è stato ottenuto. Con l’ipocrita balletto della conferenza di pace si ridefiniranno i confini di uno Stato artificiale la cui storia è inscindibile da quella della Russia e il cui destino, di conseguenza, è strettamente legato ad essa, al di là dell’indigeribile nazionalismo slavo.

Distrazioni di massa

Molta sensazione sta facendo il cosiddetto attacco dell’Iran a Israele; fonti molto serie assicurano però che si è trattato di un’azione concordata con Washington e Tel-Aviv: in parole povere, un’altra messa in scena come quella del 7 Ottobre scorso. Hanno infatti bisogno di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dalle atrocità del genocidio in corso a Gaza, che nessuna potenza è più disposta a tollerare. Le immagini dei cecchini che sparano indistintamente su chiunque – donne, vecchi e bambini – non si possono guardare, specie pensando che il massacro va avanti da sei mesi. Anche in questo caso, pare che il fattore economico giochi un ruolo importante: al largo di Gaza si trova un’immensa riserva sottomarina di gas naturale, ma pure il litorale fa gola per le possibilità di sfruttamento edilizio di lusso. L’unica soluzione adeguata comporterebbe la soppressione dell’entità politica del tutto innaturale che da quasi ottant’anni causa instabilità nella regione, la quale andrebbe amministrata per mandato internazionale con il riconoscimento dei diritti di tutti gli abitanti.

Anche la tensione tra Stati Uniti e Cina su Taiwan appare fittizia, visto che la seconda detiene un terzo del debito pubblico dei primi, cosa che rende superfluo uno scontro militare con un avversario che può esser messo in ginocchio con una semplice richiesta di restituzione di denaro che non esiste neppure. Il fatto, poi, che le navi cinesi siano le sole alle quali è consentito il passaggio nello Stretto di Aden, controllato dalle milizie Houthi, fa pensare a un tacito accordo teso a favorire l’economia di Pechino e a penalizzare le esportazioni europee verso il mercato asiatico, vista l’apparente incapacità delle porta-aerei americane presenti nel Mar Rosso di contrastare la minaccia di un gruppo ribelle che, per quanto sostenuto dall’Iran, dimostra un’incredibile capacità di tenere in scacco i commerci di grandi potenze con droni che qualcuno dovrà pur fornirgli. Anche la questione dell’antica Formosa sembra dunque un diversivo mirante a distrarre l’attenzione su un falso problema.

Visione dall’alto

Certamente ci sfuggono tantissimi dati ed elementi che sarebbero necessari per chiarire meglio il quadro geopolitico; ciò che la sedicente controinformazione lascia trapelare è sicuramente parziale e, per di più, sembra sfruttato per spingere i risparmiatori, inquieti per una congiuntura così instabile e mutevole, a investire nelle valute digitali. Il sistema, in altre parole, ci fa sapere quel tanto che basta per influenzare le nostre scelte in campo finanziario (a favore di se stesso, ovviamente, ma facendoci credere di volerci aiutare). Quanto alla situazione effettiva, i conflitti esistono realmente, sì, ma con buona probabilità solo a un livello intermedio, essendo coordinati da un livello superiore di potere che li gestisce per i propri scopi, non ultimo quello di tenere assoggettate le masse per mezzo della paura di una guerra mondiale, così come le ha piegate alla quasi completa sottomissione mediante una falsa emergenza sanitaria. La connessione tra queste trame, sia pure ordite su piani diversi, induce tuttavia a pensare che l’oligarchia finanziaria non navighi in buone acque e cerchi disperatamente espedienti per salvarsi dal rischio di implosione.

Comunque sia, lo sguardo che, con l’aiuto della luce celeste, supera l’ordine delle contingenze terrene vede agevolmente che ogni vicenda e avvenimento è saldamente controllato dalla Provvidenza, che se ne serve in vista dei Suoi fini di bene e di salvezza; gli uomini, per quanto potenti, non sono altro che pulci saltellanti allegramente verso la voragine infernale, se non riconoscono la signoria di Gesù Cristo. Quel che è assolutamente certo è che tutti – ma proprio tutti – dobbiamo morire, un giorno o l’altro: la danza macabra non risparmia nessuno, neanche i gestori dei grandi fondi d’investimento o i direttori di forum economici mondiali. L’importante, alla fine, è andare in Paradiso; nell’immediato, è avere la forza morale e spirituale necessaria per sormontare qualunque evenienza (che si tratti di una guerra o di un crollo finanziario), forza che solo una fede viva può comunicare a chi prega con assiduità, riceve i Sacramenti con regolarità e, con l’aiuto della grazia, si sforza di adempiere i suoi doveri per amore di Dio e del prossimo. Questa è la danza della vita, capace di lenire ogni dolore e di placare ogni inquietudine con la speranza della ricompensa eterna.

Et dominabuntur eorum iusti in matutino (All’alba i giusti domineranno su di loro; Sal 48, 15).


sabato 13 aprile 2024


La potenza di una parola

 

 

Riportiamo il testo di un’omelia tenuta di recente nella Capitale.

 

OMELIA PER L’ANNUNCIAZIONE

 

Dal libro del profeta Isaia (7, 10-15)

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz dicendo: «Chiedi per te un segno al Signore, tuo Dio, o nella profondità dell’abisso o nell’alto dei cieli». Acaz rispose: «Non lo chiederò; non tenterò il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, dunque, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché vogliate stancare anche il mio Dio? Per questo il Signore stesso vi darà un segno: ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio e sarà chiamato Emmanuele. Panna e miele egli mangerà, fino a che non sappia riprovare il male e scegliere il bene».

 

Dal Vangelo secondo Luca (1, 26-38)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea di nome Nazareth ad una vergine, sposa di un uomo di nome Giuseppe, della casa di Davide; il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, o piena di grazia! Il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Udito ciò, ella fu turbata alle sue parole e si domandava cosa significasse quel saluto. L’Angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel grembo e partorirai un figlio e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’Angelo: «Come avverrà questo, dato che non conosco uomo?». L’Angelo le rispose dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo ciò che nascerà da te santo sarà pure chiamato Figlio di Dio. Ed ecco: Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’ella un figlio nella sua vecchiaia e questo è già il sesto mese per lei, che veniva chiamata sterile, poiché niente è impossibile presso Dio». Allora Maria disse: «Ecco l’ancella del Signore; sia fatto a me secondo la tua parola».

 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo!

«Ecco l’ancella del Signore; sia fatto a me secondo la tua parola» (Lc 1, 38). Quest’anno la festa dell’Annunciazione è stata trasferita al primo giorno libero dopo l’Ottava di Pasqua, dato che il 25 Marzo cadeva durante la Settimana Santa. È molto bello cogliere il legame tra questa festa e la Pasqua. Oggi vediamo la potenza della risposta che la Vergine Maria diede all’Angelo, la potenza di quel fiat, del consenso che Dio ha richiesto per dare inizio all’opera della Redenzione; il Padre ha voluto che tutto dipendesse da quella risposta. Oggi, celebrando il tempo pasquale, vediamo dove ha portato quel fiat: il Figlio concepito dalla Vergine Maria regna effettivamente in eterno. Si è offerto per noi sulla Croce e, con la Risurrezione, è entrato nella gloria: davvero grande è la potenza di quella piccola parola con la quale la Vergine Maria, nella Sua umiltà inconcepibile, ha reso possibile tutta quest’opera: la Redenzione dell’umanità!

Noi sappiamo però non solo che Gesù ha realmente raggiunto la gloria di cui aveva parlato l’Angelo e regna su tutta l’umanità; sappiamo anche che l’atto con cui ha compiuto la Redenzione (cioè la Sua crocifissione e morte, l’offerta della propria persona e della propria vita al Padre) è stato possibile perché la Vergine Maria ha dato un corpo al Figlio di Dio, lo ha fatto nascere nella natura umana per intervento dello Spirito Santo; quindi il corpo che è stato immolato sulla Croce e il sangue che è stato versato per la nostra Redenzione sono stati donati da Lei. Non solo, ma spingendoci ancora più lontano riconosciamo che la carne e il sangue di cui ci nutriamo nell’Eucaristia – seguendo il comando del Signore, che ci ha detto: «Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà in sé la vita» (cf. Gv 6, 53) – quella carne e quel sangue sono carne e sangue di Maria, in quanto è Lei ad aver fornito, nella gestazione, quella realtà umana che il Verbo ha voluto assumere.

Capite allora la potenza di quel fiat? Capite quanto quel fiat si prolunghi nel tempo, fino alla fine del mondo, nei suoi effetti? poiché noi continuiamo non solo a godere dei frutti della Redenzione, ma a nutrirci del Corpo e Sangue di Gesù in ogni Messa. Quel fiat, in un certo senso, realizza tutta la sua portata ogni volta che viene celebrata la Santa Messa; per questo ricorriamo all’intercessione della Vergine Maria con fiducia illimitata, sapendo che le Sue preghiere hanno un effetto irresistibile sul Figlio. Sappiamo bene che la potenza di impetrazione della preghiera della Madonna ci può ottenere tutto ciò che è necessario alla nostra salvezza e lo può ottenere alla Chiesa intera che è sulla terra.

Noi vediamo l’aspetto umano della Sposa di Cristo; siamo purtroppo costretti a vedere quanti tradimenti sono perpetrati al giorno d’oggi, in quante occasioni la Sposa di Cristo, nella sua componente terrena, è venuta meno alle Sue volontà e ai Suoi comandamenti. Potremmo immaginare il Signore che le dice: «Tu, nella tua componente terrena, ti sei prostituita innumerevoli volte e in innumerevoli modi continui a farlo; eppure, se tu hai fede, io ho il potere di ricostituire la tua verginità, di ridarti la veste candida e immacolata del tuo Battesimo mediante il sacramento del perdono, purché ogni cristiano riconosca le sue colpe, soprattutto le guide della Chiesa».

Proprio due giorni fa ci è stato tolto il Pastore, qui a Roma, cioè colui che governava la Diocesi di Roma a nome del Papa. Non sappiamo ancora chi lo sostituirà, ma perdiamo certamente un uomo di Dio, un uomo che ha reagito, seppure con il cuore spezzato, scrivendo una lettera in cui pone ciò che è successo alla luce del Vangelo, con grande semplicità e profonda fede. Dobbiamo perciò pregare perché il Signore ci mandi un altro Pastore capace di vero ascolto, che ami il suo clero e i suoi fedeli, che visiti spesso le sue pecorelle, che parli, educhi, formi alla meditazione della Parola di Dio. Preghiamo poi, per intercessione di Maria, perché il Signore abbia pietà della Chiesa terrena e non solo venga a cancellare i peccati dei singoli suoi membri, ma dia finalmente alla Sua Sposa una vita rinnovata e apra un nuovo corso nella storia che stiamo vivendo, concedendoci la grazia di poter tornare a gioire per quello che le guide della Chiesa ci dicono e per quello che fanno.

Fiat! Fiat!


Esprimendo sincera gratitudine al cardinale Angelo De Donatis per il servizio pastorale svolto nella Diocesi di Roma, rilanciamo la prima parte della lettera che ha voluto scrivere per congedarsi dal clero e dai fedeli.

 

Roma, 6 Aprile 2024

«In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». […] Detto questo, aggiunse: «Seguimi» (Gv 21, 18-19).

Quante volte abbiamo meditato e commentato insieme questo brano… e quante volte questa Parola di Dio ha chiesto di diventare carne nella mia vita!

In realtà, nell’esistenza di ogni uomo – e in particolare di ogni prete – si realizza questa crescita verso la pienezza della maturità cristiana, della misura cioè dell’obbedienza e dell’abbandono del Figlio alla volontà del Padre. In fondo il discepolato, fin dall’inizio, contiene questa prospettiva: rinunciare a sé stessi per diventare sempre più figli, vale a dire sempre più liberi di seguire la voce dello Spirito.

Il Signore continuamente ci ripete: «Seguimi». Ogni chiamata contiene una fatica (il dover lasciare, l’essere spogliati, il morire a sé stessi) e una promessa: diventare sempre più figlio obbediente nell’obbedienza di Gesù. Un discepolo tende le braccia e segue il suo Signore… consapevole che lì dove sta andando lo precede Lui.

È come se lo Spirito sapesse che può disporre di questa persona in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, e quindi  potesse portarla dove vuole. In questa docilità opera la Grazia: è lo Spirito che la rende possibile! È lo sguardo d’amore di Gesù: Egli può chiedere ogni cosa! La libertà profonda del cuore può aggiungere: il resto non conta nulla. Ti seguirò dovunque Tu  vada! […]


Segue il ringraziamento a colui che ha scelto chi scrive e lo ha ordinato vescovo nella Basilica Lateranense il 9 Novembre 2015, ringraziamento non disgiunto da un velato monito a trattare la Diocesi di Roma non come una macchina da far camminare, ma come una famiglia da amare. La lettera si conclude con espressioni di riconoscenza verso tutti coloro che hanno collaborato con l’Autore.

Rincresce che il Cardinale non metta maggiormente in risalto il ruolo della gerarchia nel determinare concretamente l’obbedienza a Cristo, la cui volontà, in foro esterno, non si rivela immediatamente al singolo membro della Chiesa mediante l’azione dello Spirito, ma con la mediazione dei superiori ecclesiastici, che parlano e agiscono in luogo di Dio. Il discernimento, prima di essere un fatto personale o comunitario, spetta ai Pastori in virtù della successione apostolica. Analogamente, la meditazione della Parola di Dio scritta non può prescindere dalla Tradizione, che ne rappresenta il grembo, né dal Magistero, che la interpreta autenticamente. Entro queste coordinate si evitano facilmente le derive di un certo spiritualismo che, a volte, rischia di far perdere il contatto con la realtà, specie nel trattare casi di abuso. Fatta la tara di questi limiti, colpisce il distacco e la sobrietà di un uomo che, lasciando appena trapelare il proprio dolore, si rimette interamente alle disposizioni della Provvidenza con piena docilità a continuare a servire il Signore dovunque voglia. Prendiamone esempio per essere in grado di cooperare efficacemente alla rinnovazione della Chiesa, che domandiamo a Dio nella preghiera.


sabato 6 aprile 2024


Non abbiate paura!

 

 

Pax vobis. Ego sum. Nolite timere (Lc 24, 36).

«Pace a voi. Io sono. Non temete». Nel narrare l’apparizione di Gesù risorto agli Apostoli avvenuta nel Cenacolo la sera del giorno di Pasqua, san Luca riporta, oltre all’augurio riferito anche da san Giovanni (cf. Gv 20, 19), pure un’affermazione di capitale importanza e un’esortazione quanto mai opportuna. Sant’Ambrogio (Expositio Evangelii secundum Lucam, X, 171) osserva che non sussiste discordanza tra i due Evangelisti, in quanto l’uno segue l’ordine fattuale degli avvenimenti, l’altro si eleva alla contemplazione del mistero che in essi si è manifestato. Ben prima degli Illuministi con la loro vacua saccenteria, i Padri avevano notato – come chiunque può fare – le discrepanze esistenti tra i diversi racconti riguardanti la Risurrezione e le avevano spiegate in modo convincente. Ancora oggi sedicenti biblisti, negandone il carattere storico, pretendono di interpretarli come esposizioni storicizzanti di esperienze puramente interiori, contraddicendo così due millenni di insegnamento costante; è presto detto a chi è più ragionevole dare ascolto.

La pace del Risorto

È del tutto normale che testimonianze rese da più persone sul medesimo fatto discordino su dettagli secondari, dato che la memoria di ognuno adatta e rielabora i ricordi sulla base di criteri soggettivi; sull’essenziale, tuttavia, esse concordano, consentendo così di accertare la verità. Una ripetitività invariabile anche nei minimi particolari, al contrario, è sospetta e fa pensare a un accordo doloso tra i testimoni (come nel caso delle false apparizioni di Trevignano Romano, delle quali il Vescovo del luogo, monsignor Marco Salvi, ha dichiarato la non-soprannaturalità, del resto evidente a chiunque abbia un po’ di fiuto per le truffe). Una frode umana o un inganno diabolico, ad ogni modo, non potranno mai comunicare la pace che viene da Dio, quella pace soprannaturale che invade l’anima di chi si è lasciato riconciliare con Lui accogliendo con fede la grazia che scaturisce dal Sacrificio del Redentore, quella pace sovrumana che trascende ogni intelletto (cf. Fil 4, 7) e soltanto Gesù Cristo può donare, essendo Egli stesso la nostra pace (cf. Ef 2, 14).

Il termine pax, nel latino ecclesiastico, designa una realtà che supera la pax romana, fondata sì sul diritto, ma garantita dagli eserciti; esso indica – e al contempo proclama, instaura e diffonde, per mezzo dell’annuncio evangelico – il frutto del ristabilimento dell’ordine tra cielo e terra, avvenuto mediante la Croce. Al termine della Veglia Pasquale, contemplando i ministri avvolti dalla nube di  incenso che saliva al canto del Magnificat, i fedeli si son sentiti trasportati in un altro mondo, quello di lassù disceso fra noi mortali a offrirci un assaggio dell’eternità che ci attende. La vera Liturgia, sia pure celebrata nella forma più semplice e con i mezzi più modesti, ha lo straordinario potere di far pregustare il Paradiso a chi vi prende parte. I riti papali, sempre più squallidi e demoralizzanti, sono distanti un abisso da quella nobile semplicità che è capace di spalancare il cielo e di liberarci dalla cappa asfissiante del soffocante immanentismo della società odierna, confermato e rafforzato con assurda pervicacia da una gerarchia che non conosce più neppure la propria ragion d’essere.

Abbiamo la nausea di quell’irrazionale retorica che vuol farci accettare un’invasione come legittimo fenomeno migratorio, l’insicurezza sociale come arricchimento culturale, la sovversione familiare come tutela delle donne, il rischio di una guerra nucleare come difesa di una Nazione aggredita… Siamo altresì oltremodo disgustati della strumentalizzazione dei riti più sacri per fini meramente propagandistici, con un’inversione di rapporti che offende la fede e la ragione di chi non si rassegna a perderle: come può il capo della Chiesa continuare a piegarsi all’umiliante compito di ripetitore dell’ideologia mondialistica? non dovrebbe piuttosto pensare alla salvezza della propria anima, viste le sue condizioni di salute? Quale ritorsione potrebbero infliggergli, a questo punto, se, prendendo la salutare decisione di ravvedersi, si sottomettesse al Signore? Farebbero forse emergere tutti gli scandali che ha finora coperto per proteggere i suoi complici? Sarebbe finalmente l’occasione di liberare la Sposa di Cristo dal cancro degli ecclesiastici corrotti che la violentano da decenni.

Il santo Nome di Dio

Non vogliamo una pace apparente fondata sulla menzogna, sull’assenso al pensiero dominante, su accordi negoziati tra individui che non riconoscono l’unico Sovrano né intendono farlo. Aspiriamo invece alla pace che Gesù solo può donare all’umanità, a condizione che essa si sottometta alla Sua amorevole signoria. Nel comunicare agli apostoli la vera pace, Egli proclamò il santissimo Nome di Dio, che al solo sommo sacerdote era lecito pronunciare, una volta entrato nel Santo dei Santi nel grande Giorno dell’Espiazione. Con buona probabilità, il Messia crocifisso esalò l’ultimo respiro proprio nel proferire quell’Io sono con un forte grido, dando così compimento alla prefigurazione contenuta nel rito mosaico: Egli, quale pontefice dei beni futuri, è penetrato nel santuario del cielo portandovi il proprio stesso sangue (ossia l’offerta della sua vita) quale irresistibile impetrazione di perdono per noi (cf. Eb 9, 11ss). Solo la pace ristabilita in senso verticale può garantire la pace in senso orizzontale, quando gli uomini accolgono il dono della Redenzione e obbediscono all’unico Salvatore, nel quale trovano la via, la verità e la vita (cf. Gv 14, 6).

L’unico dialogo interreligioso sensato e possibile, con questa premessa, si riduce a un’esortazione composta di tre parole: «Venite a Cristo!». Il dialogo ecumenico, parimenti, sarà efficace soltanto se si potrà riassumere in una proposizione di tre membri: «Tornate alla Chiesa!». Questo, in fondo, è ciò che la Chiesa, mossa dall’amore dello Sposo, ha sempre fatto nel corso della sua storia: offrire ai non-cristiani la possibilità di conoscere il Figlio di Dio e di riceverne la grazia entrando in essa; chiamare i non-cattolici a rientrare nel Corpo Mistico. Le trattative con le altre confessioni cristiane sono ormai miseramente fallite; la pietra tombale è calata con la dichiarazione Fiducia supplicans. La missione verso i pagani è stata invece deviata verso problemi di ordine puramente temporale – spesso pure inesistenti, come la cosiddetta crisi climatica – e ridotta a proclami velleitari che non cambiano assolutamente nulla, se non lo stato d’animo di chi si lascia colpevolizzare senza ragione e ingaggiare in campagne socio-politiche intrise di chiacchiere e fumo…

Bando al falso timore

Nell’esortare gli Apostoli a non avere paura, il Risorto mostrò loro le piaghe della Passione sofferta per amore dei peccatori, le quali restano impresse per l’eternità nel Suo corpo glorificato. Guardando le mani e i piedi del Figlio traforati dai chiodi e il costato trafitto dalla lancia, il Padre ha sempre presente ciò che l’Unigenito ha fatto per noi al fine di acquistargli altri figli; noi possiamo quindi accedere in ogni istante con somma fiducia al trono della grazia per ottenere la Sua misericordia e trovare aiuto al momento opportuno (cf. Eb 4, 16). Purché non abusiamo di questa benevolenza, costata gli indicibili patimenti e la morte di croce dell’Agnello immacolato, abbiamo forse qualcosa da temere? Tutto – ma proprio tutto – ciò che la Provvidenza dispone o permette, che ci appaia favorevole o avverso, è per il nostro bene; perfino un conflitto mondiale (da cui chiediamo nondimeno di esser preservati, qualora ci sia un altro mezzo di correzione) può servire al ravvedimento degli uomini sviati e confusi. Contemplando il Crocifisso alla luce della Risurrezione, nel baciargli le ferite vivificanti riconosciamo in qual modo siamo amati e cacciamo via ogni timore.